Monday, October 17, 2005

Abbasso l'errore: Note sulla Costruzione Personale nella didattica nel tiro con l’arco

In queste note non parliamo di tecnica agonistica, ma di istruzione di base. Uno dei guai più comuni che attanagliano le società arcieristiche è la fuga di arcieri dopo i primi mesi di attività, dovuta nella maggior parte dei casi ad una tendenza a relegare l’imprinting verso standard poco motivanti o, peggio, verso la trascuratezza di chi opera per l’insegnamento.
Il lavoro sperimentale svolto dal sottoscritto e Edo Ferraro, coordinatori della Commissione Istruzione FIARC, in questi ultimi anni si è rivolto verso questa direzione nel tentativo di superare tale problema. E pensiamo, alla luce dei risultati ottenuti, di aver messo le mani su qualcosa di importante. Presunzione a parte, la logica di questa "rivoluzione" interessa per prima il nostro caro vecchio corso di base, e probabilmente potrà evolversi negli stadi più evoluti dell’apprendimento.Essa si ispira ad una didattica ancora sotto "esperimento" ma ben conosciuta nell’insegnamento delle scienze chiamata "Costruttivismo", mai applicata sul campo dello sport e delle discipline atletiche. Veniamo quindi al sodo.
Innanzi tutto è da mettere in chiaro che la sequenza temporale delle lezioni non è scansionata in alcun modo da "gradini" di difficoltà, argomenti o passaggi obbligati.Il consueto corso di base, che prevedeva le lezioni in scaletta (impostazione dei piedi, del corpo, dell’asse spalle braccia, mano dell’arco, braccio dell’arco, mano della corda, rilascio e follow-through) oggi è visto nella sua globalità, senza questi step canonici "espositivistici".
Il concetto che deve guidare l'Istruttore è quello che vede l’espansione sui piani di forza come unico obbiettivo da raggiungere ai fini della tecnica di tiro, lasciando i dettagli all’interpretazione dell’allievo che via via scoprirà da solo la strada che più gli si confà.
Questo non rinnega completamente il passato, che ha visto una didattica dettagliarsi nel canonizzare stili, sequenze e fasi di tiro; semplicemente semplifica il problema, ponendo come unico bersaglio per l’apprendimento il "movimento" nella sua globalità, e l’obbiettivo essenziale da raggiungere quello di sensibilizzare l’ allievo verso la comprensione dei concetti "piano di forza" ed "espansione dinamica". A tutti gli effetti, questi sono gli unici punti fondamentali e comuni tra tutti gli stili di tiro efficaci, indipendentemente dalle loro peculiari varianti. Problemi legati al caricamento dell’arco (leveraggi verticale, orizzontale, dal basso, dall’alto, power archery, ecc.) risultano secondari ed accessori. Sarà l’allievo stesso a scegliere.
Suddividere le lezioni per argomenti risulta poco vantaggioso, alla luce delle precedenti considerazioni. Ogni allievo possiede un "tempo relativo" di apprendimento scansionato da scoperte legate alla sua sensibilità ed esperienza motoria.
In parole povere, l’Istruttore alla prima lezione deve:
1) osservare l’allievo ai suoi primi tiri, cercando di non influenzarlo minimamente con parole o modelli dal vivo; questo perchè la motivazione che lo ha spinto ad iscriversi al corso presuppone un embrione di "modello ideale" per il quale, si suppone, egli è ben intenzionato a lottare per rappresentarlo al meglio;
2) studiare tale tentativo di "rappresentare il modello ideale personale" individuando gli ostacoli principali che si frappongono verso il raggiungimento dell’obbiettivo, che nell’essenza si riduce alla padronanza dell’assetto lungo i piani. In questo tentativo probabilmente è contenuta una matrice non del tutto sbagliata, la quale va stimolata perchè si ottimizzi pienamente.
Quali sono i criteri di giudizio che ci permettono di dire che tale matrice è da ottimizzare?
semplicemente in funzione di quanto tale modello si avvicina ad un ideale in cui i piani di forza vengono rispettati con un movimento in espansione. Questa è la premessa fondamentale.
Da questo punto in poi parte la vera didattica della "Costruzione Personale".La Costruzione Personale parte dal presupposto che qualsiasi tipo di conoscenza non deve essere "trasmessa" dal maestro all’allievo, come bene o male è stato ogni tipo di insegnamento a cui siamo stati sottoposti fino ad oggi in tutti i campi (Espositivismo); con un docente, cioè, che plasma l’allievo forzandolo ad apprendere nozioni e modelli. In questo modo le conoscenze rimangono appiccicate all’ esterno della sfera delle sue conoscenze e non si radicano, se non con molta fatica, in profondità (è questa fatica una delle prime responsabili dei molti abbandoni).
L’insegnante cerca invece di far scoprire all’allievo la sua propria idealizzazione della disciplina, stimolandolo nel concretizzare la sua personale interpretazione la quale parte già da un’idea posseduta in partenza e che a mano a mano deve raffinarsi.
In questo modo l’apprendimento acquisisce sostanza, non viene dimenticato e soprattutto gratifica, perchè è sostanzialmente creato a misura dallo studente stesso. Il docente deve stimolare l’allievo in modo tale da evidenziare ed eventualmente anticipare gli ostacoli che egli troverà nel cammino, e sarà l’allievo stesso a proporre soluzioni che non comportano l’osservanza di nessun dogma precostituito e gratuito.L’espansione lungo i piani di forza corretti risulta essere l’unico "dogma" da rispettare, ma essa è una condizione naturale di ottimizzazione del gesto in ergonomia, e istintivamente (l’esperienza sperimentale insegna) essa risulta contenuta, anche se in maniera più o meno latente, in ogni allievo.La figura del docente sfuma dall’immagine di colui che obbliga ad un percorso d’apprendimento a tappe precostituite, trasformandosi in un compagno (più esperto) di scoperte, che propone strade diverse finché la forma più gratificante del cammino si forma da sé nell’allievo.
Egli "costruisce" in prima persona ciò che più lo gratifica.
Per ciò che riguarda la nostra disciplina specifica, il tiro con l’arco di qualsivoglia etichetta, alcune argomentazioni non possono essere risolte senza l’ausilio della meccanica didattica tradizionale (ad esempio le regole di sicurezza!!) ma la cosa funziona in modo straordinariamente efficace, e si può prevedere, soprattutto agli inizi, una sorta di metodo in cui Costruzione Personale e didattica tradizionale (Espositivismo) camminano assieme.
La didattica dovrà essere impostata quindi in una direzione estremamente flessibile attraverso un dialogo Istruttore-allievo costante, in cui il primo "propone" esperimenti e il secondo li esegue commentandoli più profondamente possibile.
Da questo dialogo l'Istruttore deve trarre spunti per poter proporre via via situazioni diverse che enfatizzino gli ostacoli canonici che l’allievo troverà nel suo cammino di scoperte.
All’allievo non potrà mai venir detto che ciò che compie è sbagliato e basta, ma gli si dovranno proporre esercizi tali per cui egli stesso percepisca, ad esempio, instabilità, tensione o disagio. I suoi non saranno più "errori", quindi, ma difficoltà nel superare ostacoli. Il compito dell’ Istruttore, ripetiamo, dovrà essere quello di enfatizzare questi ostacoli per renderli più evidenti e meno insidiosi, e quindi più facilmente affrontabili dall’allievo stesso.
Non bisogna dare mai la soluzione ad un quesito posto. Bisogna farla ricercare all’allievo, ed aiutarlo nella ricerca; una volta trovata, concettualizzarla. Sarà necessario, giocoforza, affrontare un ostacolo alla volta, organizzando con domande ed esercizi situazioni che possano mettere in crisi l’idea o l’atteggiamento motorio che per l’allievo costituiscono ostacolo all’acquisizione del movimento in espansione lungo i piani di forza corretti. Come pure è necessario che l’allievo impari a "sentirsi" nel movimento, a percepirsi sempre più profondamente, cercando di lavorare sulle sue sensazioni fin da subito portandolo a focalizzare gli ostacoli. Tutto ciò tenendo ben presente che i processi cognitivi e le velocità di apprendimento non sono ovviamente uguali per tutti, e che è necessario rispettare i livelli di partenza (fisici, culturali e psicologici) e le individuali velocità e capacità di autoanalisi e strutturazione del proprio modello motorio e concettuale, veri e propri filtri personali attraverso i quali si apprende e si interpreta la realtà. Non bisogna violentare nessuno.
Quali sono i "problemi" immediatamente emergenti dal voler applicare questo metodo? sicuramente la difficile applicabilità e comprensione da parte dell’istruttore abituato ad insegnare in modo tradizionale. Ai nostri corsi di aggiornamento per istruttori FIARC diplomati secondo i vecchi canoni, si assiste alla più svariata quantità di reazioni. C’è chi sbalordisce, strabuzza gli occhi, viene colto da malessere.
-Come, non devo più correggere? devo osservare, trattenermi nell’abbassare la spalla dell’arco all’allievo che la spinge verso l’alto, e cosa devo proporre?- C’è invece chi (e qui c’è da preoccuparsi) neanche ammicca, dichiarando con autorevole sicurezza che lui l’aveva già scoperto, nonché sempre capito, sempre applicato e che si meraviglia dello choc degli altri colleghi.
Molto spesso questi equivocano. La vera difficoltà nella comprensione del metodo sta nella negazione di un modello da seguire pedissequamente, qualsiasi modello come quello personale che l’istruttore ha conquistato dopo anni di fatica, e pure quello del campione olimpico. Ridurre il modello a due semplici e fondamentali obbiettivi, quello dei piani di forza e quello dell’espansione, è una semplificazione elegante che però richiede estrema maturità tecnica e competenza nell’applicarlo, e tanto coraggio nel "smontare" le proprie radicate convinzioni costruite in anni di attività, accettando le interpretazioni dell’allievo anche se si discostano dai canoni consueti. Ci vuole maturità e voglia di rimettere (e rimettersi) in discussione. Purtroppo esse non sono piante comuni nel nostro orticello. Cari Istruttori, dite la vostra. Ogni scambio di esperienze è prezioso, e queste righe vogliono solamente stimolare ad un dialogo.

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