Monday, October 17, 2005

Arco, freccia e istinto

"Un giorno Drona, per mettere i suoi allievi alla prova, montò una finta
aquila in cima ad una lunga pertica. Al suo comando gli allievi
avrebbero dovuto spiccarne la testa dal corpo con una freccia.
Precisò: 'dovrete dirmi ciò che vedete al momento di prendere la mira'.
Cominciò da Yudhisthira, che spiegò: vedo te, quell'albero,
i suoi rami...'. Drona scosse il capo ed esclamò.- 'basta, basta cosi!

Mahabharata, revisione di R.K.Naravan, 1977.


Parlare di istinto in rilerimento ad un'azione o a un comportamento che non sia direttamente legato all'autoconservazione e alla riproduzione, quindi alla perpetuazione della specie, suona bizzarro.
In natura i comportamenti istintivi, quei moduli fissi che caratterizzano le specie animali (e quindi umane) sono geneticamente determinati in modo diretto.
Questi risentono in modo limitato dell'ambiente e delle sue influenze. Esiste una porzione del comportamento che non a trasmessa geneticamente ed è quella del comportamento appreso, fenomeno assolutamente “culturale”.
In questo caso il controllo genetico a mediato in primo luogo dalla capacità di apprendimento e secondariamente, quando esistono, da canali che orientano l'apprendimento su determinati stimoli o lo circoscrivono entro determinati intervalli temporali (vedi l'imprinting).
Ecco che, nel caso dei comportamenti appresi, l'analisi deve spostare il bersaglio dalla manifestazione comportamentale ai suoi motivi determinanti.
La grande catena delle attività umane in cui l'istinto (in senso lato) dirige il gioco è composta da sistemi di azione-reazione che provengono dal retaggio preistorico in cui l'attività umana era animale piuttosto che razionale e da tutti quei comportamenti artificiali che si sono plasmati in funzione dell'adattamento all'ambiente nel corso dell'evoluzione . Il comportamento istintivo, direttamente influenzato dalle
emozioni, è un linguaggio che ci parla dal profondo. Alcune manifestazioni istintive sono per noi consuete, come certe reazioni al pericolo, la protezione della nostra progenie, il meccanismo del corteggiamento.
Ma la catena è fatta anche da anelli costituiti da manifestazioni nell'ambito dell'agire, nei confronti dell'ambiente e delle cose, molti dei quali si sono via via indeboliti con l'impoverimento dei sensi (che furono all'alba della nostra evoluzione la componente animale più preziosa per la difesa e in caccia) e solo alcuni di essi in noi ogni tanto emergono.
Quando accade ci lasciano stupefatti e confusi, spesso disorientati. La differenziazione tra azione puramente istintiva e azione acquisita per adattamento all'ambiente, al suo mutare e alle circostanze, che diviene via via naturale e trasmissibile, molto spesso sfuma come pure il suo significante. Siamo infatti animali ibridi.
L'istinto puro lo si può solo vedere tra le bestie, nell'assistere ad un cucciolo di leopardo che si allena ad una caccia "da grandi" mentre vicino a lui la madre vigila e osservando le tantissime e miracolose azioni che ci appaiono nei documentari naturalistici.
Per un cacciatore L’istinto è quella componente di cui riappropriarsi, per misurarsi
con il selvatico, quella dimensione perduta che permette la disumanizzazione necessaria alla sua ricollocazione nella natura e nell'ambiente.
Quand'è che una componente diventa istintiva, in altre parole, quando accade che uno schema di azioni sviluppate in funzione di un'esigenza basale diventano da tecniche a patrimonio istintuale trasmissibile con i geni? Su questo fronte si sa ancora molto poco. Comunque sia, è possibile che certe attitudini di adattamento all'ambiente sviluppino un meccanismo di selezione naturale in cui i possessori della soluzione al problema (e che quindi sopravvivono) tramandino ai loro posteri quelle abilità/capacità che permettano loro di sopravvivere a loro volta all'ambiente o alle sue avversità. Una sorta di aggiustamento genetico alla predisposizione di apprendere, che può anche perdersi una volta che l'ambiente (e la selezione} si trovi modificato e non richieda più tali caratteristiche.
Il filosofo e antropologo Bateson parla di due categorie di meccanismi comportamentali attivi e produttivi a cui è possibile ricollegare praticamente tutte le azioni umane: la calibrazione e la retroazione.
Sono entrambe attività controllate dal cervello e realizzate dal corpo, entrambe acquisiscono input dall'ambiente ed entrambe provocano una reazione nei nostri muscoli, nel nostro agire. Esistono quindi due metodi di perfezionamento di un'azione adattativa. Nel nostro caso, le vediamo nel rapporto legato al colpire a distanza.

La calibrazione.
La calibrazione deriva in senso stretto dall'analisi dei sensi e della parte istintiva del cervello. In pratica non analizza ad uno ad uno i processi, ma si esprime con una reazione a cui corrisponde spesso un'azione diretta del corpo in tempi rapidissimi.
Viene affinata via via con la pratica, con la ripetizione, con l'assimilazione inconscia delle variabili. La caratteristica fondamentale di questa calibrazione è il tempo di allenamento necessario a far si che diventi uno strumento efficace, a prova di errore (solo su un grande numero di sbagli si viene a stabilire un processo calibrativo valido), ma nello stesso tempo si dimostra estremamente adattabile alle diverse circostanze e permette il raggiungimento di obiettivi sorprendenti. Il suo unico limite è l'energia da impiegare necessaria per ottenere una pratica sufficiente a non sbagliare. Imparare una attività manuale è qualcosa di simile, una sorta di adattamento progressivo dei sensi inconsci ad una operazione ripetuta più volte.
Il carpentiere che inchioda assi in modo efficiente ed ergonomico sfrutta un allenamento fatto di migliaia di ripetizioni e correzioni, non ragiona mentre alza il martello e colpisce il chiodo. Non si può parlare di carpenteria istintiva; ma se la carpenteria divenisse nel lunghissimo tempo un'attività chiave per la conservazione della specie umana, il carpentiere sopravvivrebbe agli individui non carpentieri e probabilmente quindi diverrebbe un trasmettitore di geni selezionati. Nell'istinto delle sue future generazioni si avrebbero individui in grado di piantare chiodi con un apprendistato ridottissimo grazie alla predisposizione genetica all'apprendere l'arte in
finestre temporali ben definite.
Ci troviamo di fronte quindi ad attività naturali (il cui svolgersi cioè non richiede l'uso della ragione), alcune delle quali possono divenire parte del patrimonio genetico trasmissibile degli istinti, altre invece di categoria inferiore che non lo diventano.
Un processo sicuramente istintivo e quindi calibrativo è il camminare: il bambino, quando smette di camminare a quattro zampe e impara a camminare a due, lo fa dopo cadute e scivolate. Il bambino, crescendo, istintivamente impara a camminare. Anche se i genitori lo aiutano, in realtà egli non ne ha un grande necessità, essi non gli insegnano nulla. Il meccanismo ontogenetico va da solo ed è suggestivo come esso riproduca la filogenesi del primate ominide che fa suo il bipedismo, in un tempo cortissimo.

La retroazione.
La retroazione è un processo governato dalla componente razionale del cervello umano. Generalmente a mediato da sistemi meccanicistici ed unità di misura, che vengono in aiuto e che spesso diventano la struttura portante del meccanismo in cui la mente razionale acquisisce un dato alla volta, ha la necessita di elaborare le informazioni secondo un processo lineare (il punto di partenza deve essere univocamente determinato, come pure le situazioni al contorno) e porta al risultato attraverso una correzione delL’errore progressivo e compiuto a piccoli passi.
La precisione dei risultati ottenibili con la retroazione è molto alta ed è in funzione della quantità di variabili in gioco e della precisa conoscenza di esse. La retroazione è scientifica e "galileiana" a tutti gli effetti: identificati i parametri, il processo può essere replicato e il risultato è praticamente garantito. La retroazione a un'attività
umana, non animale, perché frutto di un meccanismo cognitivo assolutamente governato dalla ragione.
Ma tutto questo cosa c'entra con il tiro con l'arco?
Oggi il tiro con l'arco viene praticato evidentemente in due maniere fondamentali, in una si assiste esteriormente alla esaltazione della tecnologia: archi datati di carrucole (i compound) che demoltiplicano lo sforzo per consentire una mira più confortevole,
unitamente ai dispositivi di mira (diottra, mirino e visette) che consentono un allineamento (previa opportuna taratura) can il centro del bersaglio di cui se ne conosce la distanza. L'altra forma, chiamata istintiva, viene seguita da chi ama l'attrezzatura tradizionale, essenziale e primitiva e dichiaratamente con essa non avviene collimazione (non esistono il mirino ed altri orpelli per facilitarla o indurla). A tutti gli effetti, la polemica a cui si assiste sui campi di gara e nei raduni che contemplano entrambe le specialità è spesso quella che viene espressa dal dubbio, a volte lecito, che chi più coglie il bersaglio a tutti gli effetti miri con la punta della freccia su un falso scopo a con qualche altra cervellotica combinazione di riferimenti esterni al centro del bersaglio che si deve colpire. Si parla di stile e si sconfina nella filosofia morale. I "puri" disdegnano le accuse di mirare. In gara la tensione è solo agonistica, l'ansia per il confronto con gli altri.
Il bersaglio è un foglio di carta o una sagoma tridimensionale a forma di selvatico, le distanze, anche se sconosciute, comunque comprese in un range che va dai 5 metri ai 50, sono proporzionali alla dimensione dell'area vitale corrispondente al punteggio massimo ottenibile. La valutazione della distanza, per chi mira con l'arco tecnologico (0 per chi "bara" cogliendo riferimenti e collimando con la punta della freccia), è critica solo in virtù del punteggio.
In caccia la situazione è completamente diversa.
Prima di tutto le distanze sono inferiori, e di molto, mediamente; poi la tensione è estremamente più alta e le occasioni di tendere l'arco sono mostruosamente più rare. L'emozione gioca brutti scherzi. Evidentemente, il meccanismo retroattivo sta al tiro al bersaglio come quelle specialità che implicano la mira oggettiva, il traguardo e la collimazione. L'intervento umano è ricorrente sull'oggetto arma-bersaglio. Il primo colpo determina un risultato, grazie al quale l'uomo modifica strumentalmente gli apparati di mira o l'impostazione della sua struttura, fino al raggiungimento (taratura del sistema) del bersaglio nel suo centro. Arrivare in gara con un’attrezzatura ben tarata e con un allenamento appropriato è fondamentale.
L'errore che deve essere corretto (l'informazione che deve essere usata) è la differenza tra la mira del sistema mirino e la direzione del bersaglio, più il fattore correttivo della gravità (funzione della distanza e della massa della freccia). In allenamento questa taratura è il fattore chiave per poter cogliere il bersaglio in situazioni simili tra loro. Sempre in allenamento può darsi che l'arciere debba percorrere molte volte questo circuito: ricevere la notizia dell'errore, correggerlo, ricevere la notizia di un errore minore 0 nullo ed infine rilasciare la freccia.
In questo modo l'arciere, nei calcoli consci che fa al giro successivo, non riporta notizie o informazioni su ciò che si è verificato al primo giro. L'unica informazione è l'errore su quel dato istante. Egli non ha bisogno di mutare se stesso.

Il meccanismo calibrativo è completamente diverso: per l’arciere mirare e rilasciate la freccia è un unicum; non ha il tempo di correggere la mira prima del rilascio.
Allinearsi-tendere-rilasciare è una sola azione, il cui risultato (bersaglio colpiùo a no) deve essere riportato come informazione alla successiva azione di tiro. E l'intera operazione che deve essere migliorata, l’oggetto dell'informazione è quindi l'intera operazione.
Al nuovo tiro l'arciere deve calcolare (e lo fa inconsciamente) la propria azione basandosi sulle informazioni relative alla posizione del nuovo bersaglio e sull'esperienza fatta nei tiri precedenti e soprattutto sul loro esito. Le differenze tra i tiri effettuati ed i loro risultati sono lo stimolo cinestetico che permette di affrontare nuove situazioni di tiro. L’affinarsi delle percezioni (ambiente, luce, contrasti, vento, differenze altimetriche) affina il tiratore e lo rende efficace, al prezzo di tanto allenamento.
In sintesi, chi tira mirando percorre semplicemente il proprio percorso cibernetico un certo numero di volte separate; chi tira istintivamente deve acquisire via via la propria abilità per accumulazione, inserendo le esperienze successive in quelle che sono già
state compiute. Ogni tiro è il prodotto di un "nuovo arciere", calibrato dalle esperienze precedenti.
Il tiro tradizionale nasce con l'arco tradizionale, cioè quello semplice ed essenziale della preistoria e dei primordi della storia. La visione suddetta fa sua la pratica del tiro istintivo, termine a volte fuorviante come si è visto.
Volendo analizzare quanto ci può essere di istintivo in un modello di tiro calibrato, ci si può perdere in un mare di indeterminatezza. A tutti gli effetti, da quanto si è scritto, il tiro istintivo è un tiro olistico tout court che coinvolge l'intero corpo dal punto di vista cinestetico, che non spezza l'azione in fasi separate su cui poter agire in modo retroattivo, che ingloba a sé l'attrezzo (l'arco diventa uno strumento di propulsione di un proiettile, sostituisce il braccio che scaglia la pietra o la lancia) e che si ottimizza con tanta pratica. L'adattamento del corpo-sistema propulsivo, combinato can le percezioni (propriocezioni) dell'assetto calibrate in successivi atti immagazzinati nella memoria gestuale, lo identificano come un processo di autoapprendimento ricorsivo come il camminare, correte a lavorare con le proprie mani sulla materia.
Quindi chiamare questo tiro con L’arco “istintivo” è forse una esagerazione semantica, che però fa intendere con immediatezza la sua essenza. Si potrebbe discutere come il predare faccia parte del patrimonio istintuale della nostra specie e da Iì pure il “colpire a distanza”. Sotto questo aspetto, scagliare la freccia con il corpo senza intermediazioni della ragione che sfrutta la retroazione correttiva, con la pratica sui propri errori, potrebbe essere intravista come L’estrema evoluzione del gesto predatorio coerente con l'espressione comportamentale venatoria.

Niente mira oggettiva ne calcolo
Il tiro istintivo presuppone L’assoluta mancanza di strumenti di mira e L’inutilità della valutazione oggettiva della distanza di tiro.
La freccia compie comunque una parabola apprezzabile nel suo cammino. Associare la valutazione giusta della distanza del bersaglio da noi implica un vero e proprio calcolo balistico. Se la distanza esula i 30 metri, il gioco si fa dilficile. Ma tra i postulati sacri della caccia con L’arco si trova il lemma che vieta assolutamente tiri a distanza superiore e quindi tutta la vicenda si semplifica. A 20 metri, distanza ottimale per colpire, la traiettoria è pressoché è rettilinea. Il tiro istintive predica di mirare con il corpo e non solo con gli occhi.
E fondamentale quindi sensibilizzarsi sull'assetto del corpo e non rimanere vincolati a schemi accademici di tiro "scuola".
Il terreno di caccia è sempre vario, quasi mai troverete un appoggio regolare e piano. Ecco che diventa importante quindi essere flessibili, percependo come fondamentale l'asse scapolo-omerale che si configura quando tendete l'arco.
II braccio di esso, la mano che lo regge (non lo stringe), le spalle e l'avambraccio dalla parte della corda devono essere l'affusto pivotabile grazie al bacino su cui impostare la corretta azione. Essa deve essere sempre dinamica, perfettamente fluida ed in espansione.
Non importa assolutamente bloccarsi in mira, anche perché non avete alcun mirino da collimare. E allora come fate a prenderci? Semplice. Basta concentrarsi sulla più piccola porzione di bersaglio visibile e scoccare.
Certamente le prime volte i risultati non saranno eclatanti, ma il computer interiore, il meccanismo calibrativo, via via che acquisisce informazioni specializzerà il gesto. E comunque fondamentale focalizzare l'azione sul piano verticale, cioè enfatizzare L’azione dinamica avanti-dietro in modo da mantenere sempre il piano di forza corretto. In questo modo ridurrete gli errori sull'orizzontale e disperderete solo in alto-basso. Se siete gid impostati bene, dovreste aver già apprezzato ciò. Questo, in altre parole, significa che l'unico ostacolo da superare a legato alle diverse distanze da coprire e L’allenamento con il vostro computer interiore farà il resto. E solo questione di pratica. La distanza limite dei 20 metri in caccia reale è importante proprio perché non implica particolari difficolta balistiche e la freccia da caccia pesante, con qualsiasi arco da caccia adeguato venga scagliata, avrà ancora sufficiente energia per poter penetrare lesivamente i tessuti.
In caccia simulata, per divertimento, si pua andare ben oltre e fino a 40-50 metri si potrà ottenere egualmente un buon raggruppamento di rosata can un buon allenamento. Nelle competizioni tali distanze sono comuni ed è estremamente utile alienarsi anche a distanze superiori.
Ci si renderfi conto rapiùamente dell'importanza dell'assetto sul piano verticale e delfimportanza del follow-through successivo al tiro. Su questo torneremo più avanti.

L'impostazione del corpo
Un particolare importante: inclinate il busto in avanti e parallelamente anche l'arco. Questo vi permetterà una visione estremamente chiara di ci è che vi circonda e una comunicazione diretta con il bersag1io senza il diaframma visivo della finestra dell'arco (ciò è inevitabile quando lo si mantiene diritto).
Ricordate che l'equilibrio della postura è fondamentale e va ricercato sempre prima di impostare il tiro. Non sacrificate energie in allenamento, alla scoperta del miglior assetto. Esso sarà sempre e comunque quello che vi permetterà un'espansione efficace ed un controllo durante e dopo il rilascio.
Questo stile di tiro può ovviamente personalizzarsi alle specifiche antropometriche del tiratore. Chiamandosi istintive non può essere racchiuso da uno schema unico per tutti. Il segreto della sua efficacia è proprio in questa sua attitudine all'adattamento, che tiene come punto fisso la dinamicità dell'azione e la fluidità.
Questa tanto decantata dinamicità di conseguenza riflette un'altra sua potente specilica: la velocità del tiro. Tirare velocemente e ripetutamente fa parte del background di ogni cacciatore vero a simulato che si rispetti. Per arrivare a ciò diventa ancor più necessario allenarsi a tirare mantenendo fissa la concentrazione sul bersaglio, senza mai distoglierla.
L'operazione di incocco, che prelude al tiro, deve diventare automatica e assolutantente ininfluente sul flusso dell'azione, finalizzata al cogliere il bersaglio. Da ciò risulta evidente come sia necessario apprendere ad incoccare sulla corda non guardando altro che avanti a sè, verso il bersaglio.
Per far si che questo stile si faccia proprio non c'è niente di più avvincente come l'allenamento di caccia simulata sù sagome tridimensionali e bersagli mobili. Ma anche vagare per boschi, tirando a foglie cadute, rami secchi, macchie di luce (il classico roving) che da decenni è sempre stato il modo migliore per allenarsi fuori stagione, rappresenta un bellissimo modo per testare la propria preparazione prima di scendere in campo.
Un allenamento estremamente proficuo si può attuare tirando a distanze limite, assolutamente fantasiose. Ciò può essere utile per rendersi conto dell'influenza del proprio in sull'atto del tiro; in altre parole, da vicino, la concentrazione e la rilassatezza necessaria al buon tiro spesso viene inquinata dal timore di non colpire e L’atto subisce una perturbazione tale da bloccare il flusso naturale.
Subentrano fattori di disistima ed insicurezza (come non essere sicuri di essere allineato, la paura di cedere, di far brutta figura di fronte agli amici, ecc.) che rovinano tutto e il controllo automatico del gesto va a farsi benedire poiché il cervello razionale prende il sopravvento su quello istintivo cercando di analizzare e correggere.
Purtroppo il nostro cervello analitico può prendere in considerazione un solo processo alla volta e nel tempo, seppur breve, dell'analisi tutta la catena di azioni e reazioni naturali si inibisce.
Per rendersi conto di ciò, appunto, la cura può essere il tiro alla lunga e lunghissima distanza.
Se ponete un palo a cento passi e cercate di indirizzare le frecce contro una lattina di birra infilzata sulla sua sommità, affronterete tutto come un gioco e la vostra ragione si farà "una ragione" del fatto che per il vostro livello ciò che vi è chiesto va oltre l'umano limite. Sarete molto più indulgenti con voi stessi e con i vostri dubbi ed incertezze.
Tirerete e basta, magari godendovi una buona volta un volo delle frecce per intero che durerà almeno due secondi.
Ebbene, tirate pure in libertà parecchie frecce. Poi andate a ricercarle sul terreno. Molto difficilmente avrete cotto la lattina, ma non stupiùevi se una o due frecce hanno colpiùo il palo a sono nelle vicinanze. Un prodigio!
Fate di più. Cercate sul terreno le due frecce più lontane (nel piano orizzontale) disperse a destra e sinistra e misurate L’errore. Probabiltnente sarà di due o tre metri, non maggiore. Ora riportate questo errore alla distanza a cui normalmente tirate: tale scarto, confrontato alle distanze classiche a cui vi allenate, corrisponde ad un errore di pochi centimetri in più o in meno dal centro. Uno scarto veramente esiguo, se pensate alle giornate non proprio fortunate dove da pochi metri vi capiùa di sbagliare il supporto del bersaglio, o quasi. Ecco quindi la risposta: in situazione rilassata il vostro computer interiore gestisce perfettamente tutta la situazione, ed è in grado di fare case ben più grandi di quelle che supporreste. E chiaro, il fatto di saperlo non guarirà in un lampo le vostre affezioni. Però vi segnalerà una via, tutt'altro che pessimistica, da seguire per risolvere i vostri problemi.
Lasciar fluire l'istinto, parcheggiare per una buona volta l'io arrogante della ragione e abbandonarsi alla fisicità dell'atto senza paragonare se stessi a qualsivoglia modello cercando di essere, non solo di apparire, è un'interessante ricetta antistress che vale non solo per il tiro con l'arco, ma che esprime la sua potenza in modo molto immediato attraverso l'applicazione di questa antica disciplina…istintiva.
Se veramente riuscirete a farvene una ragione, vi renderete consapevoli di possedere tutto ci è che vi serve e avrete fatto una grande conquista in termini di autostima e fiducia. E questo è ciò che più conta.

Il follow-through, questo sconosciuto
Tirando alle lunghe distanze si scopriranno più facilmente i misteri del follow-through. In effetti quest'ultimo è sempre stato spiegato in maniera alquanto sibillina. Se leggete sulla maggior parte dei manuali d'istruzione il capitolo dedicatogli, sembra che tra le fasi del tiro, prese rigorosamente in esame (postura, incocco, tensione, mira, rilascio e follow-through) il nostro sia una sorta di “figura rituale”, una costrizione forzata finale necessaria per l'autoesame cosciente dell'azione mentre la freccia corre verso il bersaglio. Tutto ciò fatto can l'arco ancora vibrante in mano, L’occhio che scruta l'impatto della freccia, la mano della corda mollemente rilassata sulla spalla.
A molti allievi, invero, viene ordinato tutto ciò, quand ancora non riescono a capirne il significato perché non capaci di organizzare completamente L’azione coordinata del tiro e quando per loro tirare frecce in serie una dopo L’altra nel tentativo di svuotare rapidamente la faretra sembra l'unico incosciente obbiettivo da perseguire. Ebbene, è questo il caso eclatante in cui la causa viene confusa con l'effetto. Il follow-through avviene quando l’azione di tiro, svoltasi in ossequio ai piani di forza, è avvenuta nel modo migliore. Esso accade da solo, quando la concentrazione di chi tira è tale da “spingere” mentalmente la freccia durante tutta la sua parabola verso il centro del bersaglio, quando L’energia dell'arciere (non solo quella muscolare) si proietta nell'atto di colpire il segno voluto. Non è quindi una “figura obbligata” della sequenza del tiro, ma a la conseguenza diretta, osservabile dall’esterno, di un'azione ben fatta. Per cercarla, la raffigurazione mentale, L’idealizzazione di poter realmente guidare la freccia nel suo volo con la forza della mente dopo il rilascio è ciò che serve. Da fuori, gli spettatori vedranno un perfetto follow-through.


[1] Bateson, G. Mente e natura, Adelphi 1993; Mittelstaed, The analysis of behaviour in terms of the control systems, New York, 1990.

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